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Diversity Training – perchè fare formazione

Quando si parla di disabilità, in qualche modo tutti sappiamo di cosa si tratta; si stima che nell’arco della vita tutti siamo entrati in contatto, più o meno ravvicinato, con qualche forma di disabilità.

Si osserva inoltre che sono le circostanze esterne, ambientali, a rendere potenzialmente disabile ciascuno di noi, nel senso di “diversamente abile”, di trovarci in una situazione in cui non possiamo fare qualcosa, non ci sentiamo abili, appunto.

La disabilità si riferisca a qualsiasi limitazione o perdita della capacità di compiere azioni ordinarie per l’essere umano; può insorgere in diretta conseguenza di una menomazione fisica, sensoriale, o come reazione del soggetto, soprattutto dal punto di vista psicologico.

Le forme di disabilità possono cambiare, in quanto la loro natura può progredire o regredire (es: sclerosi multipla), oppure può avere carattere transitorio o permanente.

Non tutte le disabilità sono immediatamente percepibili (es: disabilità psichica).
Al di là degli aspetti più clinici, è importante tenere ben presente il tema della disabilità all’interno dell’ambiente organizzativo , per comprenderne il significato più profondo e sociale.

                “Molte volte il disabile è commiserato e con ciò discriminato proprio da quelli che hanno paura di riconoscersi in lui, direttamente o indirettamente.”

                 – Giuseppe Pontiggia

Spesso si sente parlare di disability management, di politiche di inclusione : si tratta della collaborazione ed assunzione di persone affette da disabilità fisica o psichica, all’interno del luogo di lavoro, con un ruolo adeguato alle esigenze personali e aziendali.

L’introduzione di una risorsa affetta da disabilità (tutelata dalla legge 68/99) riporta spesso le seguenti problematiche:

  • pregiudizio,
  • stereotipo,
  • stigma.

Lo stereotipo è stato molto studiato dalla psicologia sociale e rappresenta un opinione precostituita su persone o gruppi sociali, che prescinde dalla valutazione dei singoli casi ed è acquisita tramite un esperienza diretta o indiretta : giudizi, ampie generalizzazioni.

L’uomo costruisce gli stereotipi sociali in quanto è difficile cogliere la complessità sociale e questi consentono di semplificare i dati.

Proprio per questa ragione gli stereotipi sono rigidi e difficili da mutare anche quando rimangono falsificati dall’esperienza e inducono a giudizi affrettati; il pregiudizio rappresenta infatti una modalità veloce ed economica di elaborare le informazioni da parte del nostro cervello.

Talvolta gli stereotipi servono a mantenere  delle posizioni di potere all’interno dell’organizzazione.

La minaccia di stereotipo può influenzare addirittura il selezionatore del personale, che potrebbe farsi confondere nella scelta del candidato.

Si osserva che il tasso di disoccupazione delle persone con disabilità è molto più alto degli altri e che la maggior parte dei lavoratori disabili è impiegata con un contratto part time con mansioni di basso profilo e con un livello retributivo inferiore del 35% rispetto ai lavoratori non affetti da disabilità; per questa serie di motivi non possono esprimere pienamente il loro potenziale.

Nonostante la rilevanza del tema e le crescenti pressioni sociali e normative per favorirne l’integrazione occupazionale, i lavoratori disabili hanno ricevuto meno attenzione del dovuto, anche il diversity management si è prevalentemente occupato di diversità di genere, razza, età.

                “La disabilità non deve essere un ostacolo al successo.”
                 -Stephen Hawking

Vediamo ora insieme in cosa consistono gli stereotipi più diffusi , che vedono i disabili come persone ipersensibili, insicuri, infelici, depresse, in una accezione negativa, mentre in una positiva come persone coraggiose e collaborative al lavoro.

In particolare potremmo dire che i luoghi comuni più negativi e diffusi nelle aziende sono :

  1. I lavoratori disabili hanno un elevato tasso di turnover e di assenteismo e sono poco produttivi sul lavoro;
  2. I lavoratori disabili rappresentano un rischio per la sicurezza e sono troppo costosi per le aziende; ( costi assicurativi e di aggiustamento della struttura ad esempio per abbattere le barriere architettoniche);
  3. Le persone disabili possono svolgere solo lavori ripetitivi che non implichino l’assunzione di responsabilità;
  4. I lavoratori disabili sono fonte di imbarazzo per l’organizzazione , quindi la loro presenza arrecherebbe danno all’immagine aziendale.

L’atteggiamento favorevole o sfavorevole poi dipende anche dall’origine della disabilità; se ad esempio questa è direttamente imputabile ad  incidenti per assunzione di alcool o altro i capi e i colleghi si mostreranno meno tolleranti rispetto a quelle congenite.

La mancanza di formazione e conoscenza alimentano una cultura dei pregiudizi e degli stereotipi impedendo di vedere i lavoratori disabili come persone di potenziale ricchezza.

Certamente la conoscenza rientra tra gli strumenti contro i danni dell’ignoranza.

In particolare può tornare utile una particolare forma di training che viene definito diversity training; le prime iniziative di diversity training furono eseguite negli anni 60 in seguito alla istituzione dell’agenzia federale per le pari opportunità.

Si tratta una formazione per il management che si pone come obbiettivo quello di  accrescere la sensibilità rispetto ai fenomeni della diversità in generale; più recentemente il diversity training ha ampliando il suo raggio di azione considerando la disabilità e le sofferenze delle persone e delle famiglie coinvolte

Si sostanzia in una serie di attività formative finalizzate alla creazione di un ambiente di lavoro inclusivo, eliminando problemi di eventuali preconcetti causati dalla mancanza di conoscenza.

Attraverso questo training si diffondono informazioni, concetti che cambiano la cultura di impresa.

La mancanza di informazione sulle persone disabili favorisce la diffusione di stereotipi e contribuisce a determinare atteggiamenti negativi .

Per raggiungere questo scopo le modalità operative sono differenti, come ad esempio la tecnica del role play ( molto utile perchè consente di capire cosa prova l’altro utilizzando l’empatia).

Il contenuto del training deve essere aderente alle specifiche problematiche aziendali al fine di essere efficace, e sono altrettanto importanti le tecniche di formazione da adottare e le caratteristiche personali del formatore.

La strategia di realizzazione dell’intervento può avvenire sia con una modalità top down ( ossia formare i manager che poi divulgheranno a raggiera le conoscenze) che bottom up.

Si tratta dunque non soltanto di abbattere le barriere architettoniche, ma anche di  valorizzare il talento della persona, ciò che ogni persona può offrire all’impresa nella sua peculiarità.

La cultura dell’inclusione rappresenta anche  una leva contro la povertà (Amartya Sen evidenzia che le persone con disabilità, laddove esposte ad altrui pregiudizio, sono maggiormente sottoposte a povertà).

L’inclusione migliora le condizioni di salute fisica e psicologica dei lavoratori, favorisce i sentimenti di lealtà verso il management; inoltre in virtù della maggior attenzione dell’opinione pubblica per le tematiche della salute , questo migliora anche il rapporto con clienti, fornitori, stakeholders e più in generale, l’immagine etica e politica dell’impresa.

DR

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