È trascorso poco più di un anno dal 10 marzo 2020, giorno in cui l’Italia entrò per la prima volta in Lockdown, situazione che ha comportato l’inevitabile e rapida diffusione in Italia dello smart working, definito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali come “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.
Durante la prima fase dell’emergenza sanitaria, lo smart working è stato adottato da numerose organizzazioni in quanto il lavoro da remoto si è rilevata la soluzione ideale per conciliare le limitazioni dovute all’emergenza sanitaria con la necessità di assicurare la business continuity. La seconda fase dell’emergenza ha visto un’integrazione tra lavoro da remoto ed ufficio, sia per migliorare la comunicazione che il coinvolgimento dei dipendenti.
Confrontandoci con varie Organizzazioni è parso chiaro che telelavoro e smart working venivano erroneamente equiparati, infatti, a causa della pandemia, i dipendenti svolgevano il proprio lavoro quasi esclusivamente da casa (telelavoro), utilizzando le nuove tecnologie ITC a disposizione (es. MS teams) ma, come vedremo, lavorare in smart working ha un significato ben più ampio.
Andando oltre la mera definizione ministeriale, lavorare in smart working vuol dire adottare “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità ed autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati[1]”; fare smart working, quindi, non vuol dire “lavorare da casa”, ma risulta essere una trasformazione del modello manageriale e della cultura dell’organizzazione, un’innovazione profonda del modo stesso di concepire il lavoro e la propria relazione con l’organizzazione[2].
Quindi lo smart working è un paradigma di lavoro che fonda le sue fondamenta su tre fattori principali:
- Tecnologie ITC
Queste permettono al team di lavoro di scambiarsi informazioni in maniera delocalizzata.
- Nuovo modello organizzativo del lavoro
Passaggio fondamentale che si concretizza attraverso l’organizzazione di un lavoro per obiettivi (management by objectives), ridefinizione di schemi aziendali, costruzione di un nuovo rapporto di relazioni con il team, cercando di creare una leadership più diffusa, maggiore responsabilizzazione del singolo dipendente.
- Nuova configurazione degli spazi aziendali
Questo aspetto crea un grosso punto interrogativo nella mente dei nostri clienti, che sembrano chiedersi: “se siamo in smart working cosa c’entrano i nostri uffici?”
L’ufficio ha un’importanza cruciale, nonostante si abbia la possibilità di lavorare ovunque. Ci sono determinate fasi del lavoro (es. processo creativo o di innovazione) che sono difficilmente implementabili attraverso una videocall. Sono tantissimi gli studi che evidenziano come lo spazio fisico sia ancora centrale nel processo innovativo.
Vengono dunque definite 5 caratteristiche[3] che tali spazi devono possedere per favorire l’innovazione e la produttività:
– Devono permettere collaborazione e comunicazione tra le persone, in modo da instaurare un capitale sociale che incentivi la creatività e il lavoro di squadra;
– I luoghi di lavoro devono essere modificabili e flessibili in base agli obiettivi;
– Devono essere dotati delle tecnologie necessarie per permettere la collaborazione tra i lavoratori;
– Gli uffici devono riflettere i valori e la storia dell’azienda;
– Luoghi interessanti attraggono persone interessanti: i luoghi devono essere confortevoli e far sentire a proprio agio tutti i lavoratori.
Confrontarsi con altre persone è ancora la base del lavoro e aiuta a pensare fuori dagli schemi; la “pausa caffè” può essere scintilla di buone idee o risoluzioni di problemi.
Gli effetti benefici che si possono ottenere sono senza dubbio molteplici, ad esempio:
– Limitazione della mobilità con conseguente diminuzione dell’impatto ambientale;
– Maggior gestione del tempo individuale e miglioramento della qualità della vita;
– Valorizzazione delle risorse umane e responsabilizzazione;
– Razionalizzazione nell’uso delle risorse e aumento della produttività, quindi risparmio in termini di costi e miglioramento dei servizi offerti;
– Rafforzamento dei sistemi di misurazione e valutazione delle performance basate sui risultati e sui livelli di servizio;
– Abbattimento delle differenze di genere.
Ogni trasformazione, ovviamente, comporta un processo di rottura dei vecchi schemi, pertanto non può essere frutto di una serie di azioni frammentate, ma deve essere il risultato di un processo che va opportunamente gestito. Le resistenze al comportamento sono componenti normali del processo di change management e quindi bisogna prenderne atto, preventivarle e superarle.
Per introdurre e strutturare lo smart working efficacemente all’interno della propria azienda occorre seguire i seguenti step:
– Analisi aziendale: consiste nel raccogliere informazioni e dati che ci aiutino a fotografare lo stato di fatto della realtà aziendale oggetto di studio, in modo da mettere in luce probabili criticità come assicurare la privacy dei dati trattati, la sicurezza informatica, il rispetto dei principi di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ed eventuali gap di competenze da colmare;
– Definizione degli obiettivi: prevede un confronto serrato con la Direzione in modo da definire le priorità di intervento;
– Valutazione dei supporti tecnologici: valutazione e scelta della tecnologia digitale più appropriata al contesto per supportare l’interazione virtuale;
– Pianificazione e programmazione: processo attraverso il quale, sulla scorta delle priorità, si definiscono gli obiettivi nel breve, medio e lungo periodo, si elaborano delle procedure a supporto, si individuano degli indicatori di performance sulle attività a distanza e la modalità di monitoraggio;
– Attività formative e motivazionali: questa fase si concentra sulla formazione in merito al funzionamento del nuovo modello, alle norme di sicurezza da rispettare nell’esecuzione della prestazione di lavoro “da remoto” e all’uso corretto delle nuove tecnologie digitali;
– Monitoraggio sull’andamento: quest’ultima fase è finalizzata a monitorare l’applicazione del lavoro agile in azienda nell’ottica di apportare le necessarie azioni correttive.
La flessibilità e la capacità di innovarsi costituiscono uno dei punti di forza del sistema economico, quindi una consapevole pianificazione dello smart working può essere un veicolo per andare nella giusta direzione ed essere preparati ai cambiamenti richiesti dai mercati in rapida evoluzione.
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[1] Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano
[2] Politecnico di Milano
[3] Jurnal of Knowledge management – K. Oksanen, P. Stahle